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  • Writer's pictureLUDOVICA NERI

UPCYCLING - COS'È E COME FUNZIONA

Updated: Jan 4, 2022

L'arte del riciclo che crea novità e salva l’ambiente


Un mappamondo tagliato che diventa un centrotavola con una base di appoggio, un vecchio vinile che si riscopre copri lampada, un bancale che si trasforma in un tavolino da salotto… Sono tutti esempi di un fenomeno che nasce dal basso e che oggi è conosciuto con un termine specifico: upcycling.

Nella nostra lingua il termine viene solitamente tradotto con “riciclo creativo”, “riuso” o “riutilizzo”, ma in realtà nessuno di essi riesce a chiarire il fatto che questo tipo di processo fa acquisire un valore maggiore al nuovo oggetto rispetto all’originale, come invece è ben spiegato dal termine inglese attraverso il prefisso “up”.

Infatti, non si tratta di riciclo e basta, ma della valorizzazione di un prodotto o materiale di scarto che ha esaurito la sua funzione di partenza e che torna in gioco con un nuovo aspetto, una nuova funzionalità e anche con un più alto valore aggiunto.

Il termine appare ufficialmente per la prima volta nell’ottobre del 1994, in un articolo della rivista di architettura e antichità Salvo, nel quale l’ingegnere meccanico Reiner Pilz – che già da qualche anno si occupava della realizzazione di oggetti e arredi interni utilizzando come base materiali di scarto provenienti principalmente dall’edilizia –, intervistato da Thornton Kay, affermò che “Il riciclo io lo chiamo down-cycling. Quello che ci serve è l’up-cycling, grazie al quale ai vecchi prodotti viene dato un valore maggiore, e non minore”.

In effetti, tra il comune riciclo e l’upcycling sussistono notevoli differenze.

Anzitutto, il processo di riciclo dei materiali di scarto spesso richiede l’utilizzo di grosse quantità di energia, mentre nel caso dell’upcycling l’energia necessaria a creare un nuovo prodotto è nulla o molto bassa.

In secondo luogo, non tutti i materiali possono essere riciclati con un’alta efficienza, poiché nella maggior parte dei casi (il vetro è forse la più grande eccezione) il prodotto finale del riciclaggio risulta di qualità minore e non equivalente ad ogni step (ad esempio, una volta riciclata la carta vergine diventa cartone, ma nel ciclo successivo quest’ultimo è destinato alla discarica o all’inceneritore; pure la plastica riciclata viene utilizzata per realizzare maglioni sintetici, ma nel ciclo successivo non è più possibile utilizzarla nuovamente), mentre l’upcycling contribuisce a ridurre il costo della produzione di nuovi oggetti.

Inoltre, il riciclaggio, pur contribuendo a migliorare notevolmente l’impatto ambientale, concorre ad alimentare la mentalità dell’usa e getta, poiché è un processo che tenta di trovare una soluzione ad un problema già esistente, piuttosto che cercare di prevenirlo, mentre l’upcycling si propone di limitare la quantità di materiale a perdere, fermandosi a riflettere su come possono essere utilizzati gli scarti e non sull’evitare che essi deteriorino l’ambiente in cui viviamo.

L’upcycling è alla portata di tutti in ambito domestico, ma può fornire soluzioni e idee anche a imprese e protagonisti di specifiche filiere, laddove servono decenni per smaltire i materiali di partenza, con ricadute a volte pesanti sulla sfera ambientale, come nei settori fashion o tech.

Ad esempio, la Samsung ha recentemente inaugurato un proprio Upcycling program, con l’obiettivo di aiutare i consumatori ad aggiornare l’hardware e il software dei loro vecchi Galaxy, per abilitarli a nuove e più utili funzionalità idonee a sfruttarli fino in fondo.

Il noto brand dell’eco-fashion, Ecoalf, con il suo progetto Upcycling the Oceans si è invece dato l’obiettivo di realizzare un intero ecosistema, proponendosi di trasformare la spazzatura che infesta i mari, in particolare la plastica, in filati di qualità per capi d’abbigliamento e accessori.


Anche nell'edilizia e nel campo delle costruzioni l'upcycling può fare la differenza: Reinder Bakker e Hester van Dijk, insieme a Bureau SLA, hanno realizzato Pretty Plastic Plant, un progetto che trasforma rifiuti in materiali da costruzione attraverso una macchina che lava, macina e pressofonde i rifiuti di plastica, trasformandoli in prodotti unici ed eccezionali, come le piastrelle esagonali multicolore che sono state utilizzate per costruire il People’s Pavilion temporaneo in occasione della Design Week olandese del 2017.

Persino le reti da pesca abbandonate in mare costituiscono un grosso problema, sia per l'inquinamento che per la fauna marina. Interface (nelle Filippine) e Bureo (in California) si occupano di recuperarle e di dare loro nuova vita, trasformandole in tappeti di design di alta gamma o in skateboard a forma di pesce.


Ulteriori, importanti esempi di riuso adattivo, sono legati all’architettura. I container industriali, o per le spedizioni marittime, possono trasformarsi in edifici per clienti commerciali o residenziali, come dimostrato dai recenti progetti internazionali di Lot-Ek, lo studio degli architetti Ada Tolla e Giuseppe Lignano fondato nel 1993 e di base a Napoli e New York.

In questi casi, l’upcycling diventa una filosofia di progettazione che, partendo da un oggetto anonimo, costituito da un vecchio container, finisce per approdare ad una struttura che si inserisce nella vita pubblica e privata della città, puntando a sostituire un modello di costruzione tradizionale con uno innovativo, che coniuga la sostenibilità con la modularità.

Nel prossimo futuro, nuove frontiere potranno essere esplorate anche grazie al Solid Textile Board, il materiale concepito dai danesi di Really e realizzato in collaborazione con Kvadrat, che costituisce un interessante esempio di upcycling dei tessuti a fine vita: da scarti di tessuti in cotone e lana si approda a un materiale ad alta densità, sagomabile e sfruttabile in diversi contesti.

Al Salone del Mobile 2017, il designer britannico Max Lamb lo ha sperimentato su dodici modelli di panchine, facendo letteralmente toccare con mano le potenzialità e la versatilità, anche cromatica, dei pannelli di nuova concezione.

Per praticare il riuso adattivo anche nel nostro Paese basta guardarsi intorno, in casa o nel territorio, per non lasciarsi scappare materiali che fanno parte della realtà economica e produttiva locale.


Lo dimostrano due esempi in segmenti dove tecnica e creatività vanno assieme: il designer carrarese Moreno Ratti ha dimostrato che c’è una seconda vita per le lastre di marmo che si accumulano nei magazzini, che possono diventare nuovi oggetti di design e di arredo, con dettagli lavorati per favorire gli incastri tra le superfici, rinascendo quindi con nuova funzione in formato 3D, mentre la start-up trentina Uptitude, ormai sulla ribalta da qualche anno, ha scommesso sul riutilizzo intelligente di vecchi snowboard e sci per creare montature di occhiali come pezzi unici, con colori e grafiche che riprendono l’estetica dei prodotti originali.

Insomma, per fare upcycling ci vogliono sicuramente oggetti o materiali, in prima battuta, ma anche e soprattutto la capacità di ripensare un pezzo di mondo, il proprio o quello degli altri, per scoprire che non esistono cose brutte o superate, ma solo cose che meritano una seconda opportunità, e che da qualsiasi oggetto è possibile creare qualcosa di nuovo, bello, e soprattutto utile.

Se questo processo produttivo viene applicato al mondo del fashion e del design, gli oggetti che vengono creati non solo hanno un importante valore etico ma anche un valore estetico di grande impatto, proprio perché originati da materiali di altissima qualità, trattati nel migliore dei modi da artigiani del lusso per realizzare nuovi prodotti fatti con arte e cuore.

In questo ambito si muove Reborn Ideas, il primo e-commerce omnicanale di prodotti Made in Italy realizzati mediante upcycling, che si presenta come il primo aggregatore di prodotti ideati da designers e realizzati tramite recupero creativo o realizzati con nuovi materiali ecosostenibili.

Il fondatore dell'azienda, Maurizio Mazzanti, ha peraltro recentemente spiegato che la moda è la seconda industria al mondo e che entro il 2030 il consumo mondiale di vestiti dovrebbe salire del 63%, arrivando a 102 milioni di tonnellate.

In tale ambito produttivo l'industria della moda prevede di raddoppiare la quantità di poliestere riciclato impiegato, arrivando a 76 milioni di tonnellate.

Ciò è senz’altro positivo, ma da solo non è sufficiente a ridurre l'impatto ambientale, per il quale è invece necessario adottare modelli sostenibili, partendo dal design del prodotto, che deve sostenere un ciclo di vita più lungo, sia dal punto di vista fisico che emozionale.

Anche i toscani di Rifò, convinti che attraverso l'upcycling è possibile generare prodotti di qualità elevata con un ridotto impatto ambientale, hanno definito il loro approccio alla produzione di moda lanciando 'Phoenix', un progetto di raccolta di abiti usati che prevede che chiunque, su tutto il territorio nazionale, potrà spedire alla start-up pratese i propri capi usati in 100% lana cashmere al fine di ripararli o rigenerarli in qualcosa di nuovo.

Insomma, si tratta di una filosofia produttiva multiforme ed in continua espansione nella quale è obbligatorio credere fino in fondo.

Il nostro pianeta sentitamente ringrazia.


Ludovica Neri


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